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A Maria Rosa Banfi il premio Famiglia Legnanese

Legnano 27 aprile 2007 – La Tessera d’oro 2006 della Famiglia Legnanese porta il nome di Mariarosa Banfi, 60 anni, titolare della Carlo Banfi di Rescaldina, industria storica dell’Altomilanese specializzata nella realizzazione di macchine sabbiatrici, pallinatrici e per la granigliatura, destinate al settore siderurgico.Si tratta della terza donna a cui è viene conferito il prestigioso riconoscimento di Villa Jucker, dopo Giovanna Re Depaolini alla fine degli anni Ottanta, pure lei imprenditrice di successo con il suo calzificio Rede di Parabiago, e Adele Landini Albertalli nei primi anni Novanta, madre dell’attuale Gran maestro del Collegio dei capitani del Palio ora scomparsa.
In Famiglia, fra le righe e a bassa voce, si riconosce che in effetti negli anni si è peccato forse di eccesso di “simpatie maschili”, e che “riequilibrare un po’ le cose a favore delle donne non è una cattiva idea”. Si comincia allora quest’anno con una donna che ha scritto un pezzo di storia industriale del territorio e che vanta già una consolidata presenza all’interno delle attività della Famiglia. Tanto per dare un’idea di come Mariarosa Banfi incarni quei solidi valori lombardi di dedizione al lavoro, uniti al basso profilo nella vita di tutti i giorni, basti dire che quando le hanno detto che era lei la protagonista della Tessera 2006, con tanto di cena d’onore questa sera al Barbarossa, ha recalcitrato. Era lì lì per rifiutarsi, addirittura. Convinta che ci fossero persone più meritevoli di lei.
E invece il Consiglio direttivo della Famiglia, a cominciare dal suo presidente Luigi Caironi, aveva visto giusto.
La parabola umana e lavorativa di Mariarosa Banfi è infatti una di quelle che colpisce per il suo aspetto quasi leggendario. Nata in una solida famiglia rescaldinese, a tutto avrebbe pensato tranne che a diventare la titolare dell’azienda fondata dal padre Carlo nel 1938. Come da tradizione, infatti, sarebbe stato il fratello, già avviato agli studi d’ingegneria, il naturale erede. Il destino aveva però deciso diversamente. «Mio fratello se ne andò a soli 19 anni a causa di un terribile incidente stradale. Quando anche mio padre morì, mi ritrovai nel 1975, con una laurea in Lingue presa alla Bocconi, a prendere nelle mie mani l’azienda».
Una necessità più che una precisa scelta. Ma una strada che, una volta imboccata, Mariarosa Banfi ha percorso con convinzione: «Ho sempre avuto una fede quasi granitica in questo punto fermo: ciò che mio padre aveva costruito con tanto impegno e sacrifici non dovesse andare assolutamente perso». A questo ha unito quell’umiltà, frutto delle sue salde radici cristiane, che fin dai primi mesi in azienda le ha fatto capire che “non potevo non coinvolgere nella direzione aziendale, anzi appoggiarmi, ai collaboratori con più esperienza di me. Senza di loro non ce l’avrei fatta. Come non ce la farei oggi, se non avessi al mio fianco, oltre ai 55 dipendenti, ai quali si aggiungono i 10 della Banfi Engineering, il direttore generale Ennio Ing. Tombetti, una figura storica già presente in azienda fin dagli anni Settanta, e il vicedirettore Fausto Dr. Benzi».
Al suo fianco sta a poco a poco entrando in gioco anche il figlio 22enne, Carlo, che studia al Politecnico di Milano.
Pugno di ferro o dolcezza unita alla fermezza? Per Mariarosa non ci sono dubbi: meglio la seconda. E la solidità della Carlo Banfi le danno ragione. Il bilancio di questo 2006 che volge al termine è più che lusinghiero: 16 milioni di fatturato. L’azienda ha il piede schiacciato sull’acceleratore della internazionalizzazione. Ci sono due costole della Carlo Banfi operative in Francia e nella Repubblica Ceca. E in queste settimane sta per essere consegnata un’importante commessa destinata alla Russia: un macchinario per la sverniciatura e la riverniciatura dei vagoni ferroviari di dimensioni tali da richiedere una spedizione di un totale di 44 tir da Rescaldina verso gli Urali! Viene spontaneo chiedersi se un’imprenditrice del suo calibro, che passa l’intera giornata in azienda, trovi il tempo per fare anche dell’altro. La risposta è affermativa. Quei valori cristiani di solidarietà che la famiglia le ha trasmesso restano un punto di riferimento. A Villa Verucchio, nel Riminese – la Romagna era entrata nel cuore del padre Carlo – Mariarosa ha dato un immobile di sua proprietà alla comunità “Papa Giovanni” di don Benzi, il prete romagnolo la cui missione è salvare dalla strada le prostitute di colore e non. Come “dama del Santo Sepolcro” si occupa di numerose attività benefiche, fra le quali la raccolta di fondi per la Terra Santa. E da anni contribuisce finanziariamente alle borse di studio della Famiglia destinate ai ragazzi meritevoli in occasione della “Giornata dello studente”.

Redazione

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