I DICO – In merito all’O.d.G presentato dal partito della Rifondazione Comunista

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    Mi sono gia espresso in altre occasioni, attraverso la stampa locale, anche questa sera confermo il “no!” ai “Dico o ai Cus”. Il presidente della commissione Giustizia del Senato, Cesare Salvi, ha presentato un nuovo testo base al Senato, “i Cus”, i contratti di unione solidale al quale auspica che si possa trovare una soluzione condivisa per il riconoscimento delle unioni di fatto. Il testo si riferisce alle unioni civili tra due persone maggiorenni, anche dello stesso sesso, la cui dichiarazione congiunta va effettuata davanti ad un giudice di pace o ad un notaio. La logica di fondo rimane quella del riconoscimento di questa forma "para-familiare". Nessuno lo dice, però è forse proprio la figura del Giudice di Pace che rende più impegnativa e più pubblicistica questa contrattualistica. "Dai Dico ai Cus la sostanza non cambia”, il governo delude le attese delle associazioni schierate in difesa della famiglia tradizionale. Un provvedimento discutibile e, per altro, secondo un sondaggio del Corriere della Sera, nemmeno condiviso dalla maggioranza degli italiani. “No” perché i Dico o i Cus, sono destinati a produrre sul piano delle politiche sociali e di solidarietà problemi più gravi di quelli che si propongono di affrontare. Si parla dei “Dico”, ora i “Cus” ma si pensa ai Pacs. C’è il timore che dietro l’angolo sia pronto il matrimonio gay, il divorzio veloce, le leggi sull’eutanasia, come è avvenuto in Belgio, in Olanda e nella Spagna di Zapatero.
    «L’articolo 1 del disegno di legge apre ad una tale e ampia gamma di diritti che di fatto instrada verso un’equiparazione delle convivenze con il matrimonio»
    «Il disegno di legge sulle coppie di fatto, ha il sapore di un provvedimento “bandiera”, fatto passare da una certa parte dei media come una conquista di civiltà, ma che in realtà rischia di oscurare il ruolo della famiglia come cellula portante della società.
    Quello che mi chiedo, se era così urgente un provvediento di questo tipo o se prima il Governo non avesse dovuto impegnarsi per elaborare serie politiche di sostegno alla famiglia. In un sondaggio fatto di recente dalle Acli solo il 6% degli intervistati mette la tutela delle unioni di fatto al primo posto. E in questo senso anche il programma dell’Unione, presentato agli elettori in campagna elettorale parla chiaro: ci sono quasi 200 righe dedicate alle politiche familiari e solo una decina sulla tutela delle coppie di fatto.
    Penso che era meglio occuparsi prima delle politiche familiari. Occorrono progetti per favorire il matrimonio per le giovani coppie e per la ripresa della natalità con maggiori garanzie per il lavoro, per la casa e per gli asili nido. Il Governo deve assolutamente dire in modo più chiaro che la famiglia è “la priorità”, e quindi destinare ad essa più risorse economiche. Il declino dell’istituto familiare è dovuto a ragioni culturali, sociali ed economiche. Tutte le ricerche ci dicono che ci si sposa sempre meno e più in là negli anni, perché un legame stabile, che comporta doveri reciproci, risulta per molti una responsabilità troppo vincolante. Si preferiscono così relazioni meno stabili e impegnative. Ma ci sono anche problemi concreti che impediscono alle famiglie di nascere e crescere. Metà delle famiglie italiane vive con meno di 1800 euro al mese, la diffusa precarietà del lavoro e l’alto costo dell’acquisto o dell’affitto della casa ostacolano i giovani nel formare nuove famiglie. Il 70% dei giovani tra i 25 e i 29 anni vive con i genitori, nella sostanziale impossibilità di rendersi autonomi e di formare nuove famiglie. Diventa sempre più difficile, poi, soprattutto per le donne, conciliare lavoro e famiglia. Queste, non il riconoscimento delle unioni di fatto, sono le priorità che un Governo, che abbia davvero a cuore il futuro del Paese, dovrebbe affrontare con scelte concrete e urgenti. L’articolo 31 della Costituzione prevede che “la Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose”. In Italia, però, solo l’1% del Pil viene investito nelle politiche familiari, a fronte di una media dell’Ue del 4%. Le ragioni del compromesso politico, ancora una volta, hanno avuto così la meglio su quelle del “bene comune”. Con la sua scelta il Governo indica una strada pericolosa e ambigua. Una legge va
    giudicata per quello che prevede (e quella varata rischia di creare più problemi di quanti vorrebbe risolverne), ma anche per i messaggi che trasmette. Con i “Dico o i Cus” non si lancia un segnale positivo ai giovani, ai quali si indica così come possibile e praticabile un modello, meno impegnativo e stabile, alternativo alla famiglia, senza la quale tuttavia nessun Paese può costruire il proprio futuro.
    In un certo senso, i giovani potrebbero avere di fronte una scelta tra un diritto "leggero" – una condizione che si può sciogliere come si vuole – e invece la vera assunzione di responsabilità e di nuova identità, che la scelta del matrimonio chiede. Forse, la nostra società ha bisogno di più coesione sociale, di strutture più forti, di una chiamata alla responsabilità più esplicita. E dare delle opzioni troppo leggere, troppo volatili contribuisce ad una debolezza dei progetti che non fa certo il bene delle persone e delle famiglie e della società. Io credo che chi ha responsabilità politiche e di governo, non possa ignorare che la società è cambiata e che ci sono nuove necessità che richiedono un intervento di tutela dei soggetti più deboli nella convivenza.Ma è lo strumento scelto a lasciare perplessi. La fretta con la quale il governo ha lavorato non ha lasciato spazio alla valutazione di altre strade. A mio avviso, quella di un disegno di legge è una soluzione non adeguata. Per riconoscere i diritti individuali bastavano singoli interventi sul codice civile.
    Tra i giuristi si continua a sottolineare l’ipotesi che si debbano prendere le singole condizioni e si debbano fare degli interventi sulle singole normative. Per esempio, se si tratta di verificare il tema dell’affitto, si vada a vedere come sono regolati e si faccia un emendamento. Se si tratta di regolare il tema delle successioni, si prenda la normativa di settore e si faccia un emendamento per questa situazione. Ma non "ridefiniamo queste situazioni” e da questa nuova ridefinizione si tirano dentro tutti gli altri diritti, perché altrimenti, si definisce una nuova modalità di cittadinanza, che è non è famiglia, che non è diritti degli individui e che è… che cosa? Questa è la domanda. Aver scelto la strada del disegno di legge ha aperto la porta al pericolo di un’equiparazione delle coppie di fatto al matrimonio. Innanzitutto da un punto di vista simbolico. Alcune forze politiche stanno facendo di questo disegno di legge una bandiera ideologica. Ma, poi anche dal punto di vista pratico. Si pensi al primo articolo dei “Dico”, sul quale pure riconosco l’importante lavoro fatto da Rutelli per allontanare il più possibile la possibilità che “Dico e matrimoni” si trovassero sullo stesso piano. Eppure apre ancora ad una tale e ampia gamma di diritti che di fatto indirizza verso un’equiparazione. Per contrastarla, si tratta di una battaglia culturale che va combattuta sino in fondo».
    Pertanto, il mio giudizio su tale iniziativa di legge non può che "essere negativo". finirà per pesare non poco sul futuro della nostra società. "E’ una ferita al matrimonio il ddl getterà le basi per una forma alternativa di famiglia e che pertanto si pone in contraddizione con l’articolo 29 della Costituzione della Repubblica Italiana, che cita le testuali parole: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare”. Io sono con i cattolici che chiedono ai vescovi di dichiarare liberamente la dottrina morale in tema di legislazione familiare, perché la coscienza non può essere nascosta dietro il paravento della laicità, e né tanto meno può essere negoziata.

    Grazie per l’attenzione, voto contro all’O.d.G.

    Cesano Boscone, 18-07-07

    Il Consigliere
    Salvatore Ariemma

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