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venerdì, Aprile 19, 2024

Proverbio: D'aprile non ti scoprire.

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La lettera. "Lasciamo la storia agli storici. La politica deve parlare alla gente"

Egregio Direttore, sono nato nel 1978. Il fascismo era finito da più di trent’anni. Oggi ne sono passati più di sessanta. Quando ho deciso di interessarmi di politica l’ho fatto iscrivendomi al Fronte della Gioventù, organizzazione giovanile di quel MSI che di la a qualche mese sarebbe diventato Alleanza Nazionale. Era il 1994, frequentavo il Liceo e il fascismo non c’entrava nulla.
Oggi Azione Giovani è la più grande organizzazione politica giovanile esistente in Italia. Nelle scuole, negli Atenei, nelle strade, tutti i giorni, con spirito di sacrificio e senza avere nulla in cambio portiamo alto il nome di Alleanza Nazionale e del Popolo della Libertà.
Facciamo politica guardando al futuro, non al passato. Vogliamo dare risposte ai bisogni della gente e in particolare ai nostri coetanei.
Fascismo e antifascismo sono categorie che preferiamo lasciare al giudizio degli storici.
Abbiamo sempre sostenuto – Fini, La Russa, Alemanno, fino ad arrivare al più giovane dei nostri militanti – che storia e politica sono due cose diverse. La politica è destinata a diventare storia ma fino a quel momento è bene lasciare la storia agli storici.
Che bisogno c’è di mischiare storia e politica? Per troppo tempo è stato fatto e il risultato è l’impossibilità – ancora oggi – di leggere la nostra storia, specialmente quella più recente, con la serenità e l’obiettività che meriterebbe.
Il fascismo è morto. E’ stato consegnato alla storia e, pertanto, va storicamente studiato.
Questa storicizzazione del fascismo è stata possibile anche grazie alla trasformazione del Msi in Alleanza Nazionale. Nel momento in cui cessava la sua funzione di testimonianza il partito che era il diretto erede dell’esperienza fascista è stato possibile studiare storicamente il fascismo.
Prima non era possibile. Soprattutto perché l’uso politico che della storia ha fatto una certa sinistra ha impedito una lettura obiettiva del periodo tra le due guerre e in genere del Novecento.
Questo perché in Italia la guerra civile ha avuto strascichi più lunghi che in altri paesi, dove è stata superata. Quasi subito.
Negli Stati Uniti appena finita la guerra di secessione il generale Lee scrive una lettera indirizzata a tutte le madri del Sud: “rinunciate alle animosità e crescete americani i vostri figli”. Oggi in tutti gli Stati della vecchia Confederazione insieme alla bandiera a stelle e strisce è esposta nelle sedi di governo la bandiera dei confederati.
In Spagna finita la guerra civile del ‘36 il generale Franco ha voluto la Valle dei Caduti, dove sono sepolti fianco a fianco i combattenti nazionalisti e quelli repubblicani antifranchisti.
In Italia questo non è stato possibile perché è esistito, e per certi versi esiste ancora, un muro ideologico che impedisce una memoria storica comune.
Quel muro che per cinquant’anni ha tacitato la verità sulle foibe e sulle tragedie del nostro confine orientale.
Quel muro di chi vorrebbe parlare di morti di serie A e di morti di serie B. Quando sarebbe opportuno ricordarli tutti, perché così ci insegna la pietas cristiana.
Ricordare, nulla di più.
Carlo Mazzantini, fa una bellissima dedica nel suo “I balilla andarono a Salò”: “Ai partigiani caduti per la libertà. Ai soldati della RSI caduti per l’onore”. Nessuno scandalo.
Amo la storia, al punto che la portai come quinta materia orale all’esame di maturità (allora erano ancora quattro!).
So pertanto che la storia è revisione e che il revisionismo non è un crimine. “La storia o è continua revisione o non è storia”. Questo lo dicevano Erodoto e Tucidide.
Sono gli uomini e le passioni che fanno la storia e sono anche gli uomini e le idee che la scrivono e la commentano. Se dunque la maturità dei tempi ci consente di leggere con maggior distacco e obiettività le pagine del nostro recente passato non dobbiamo avere timore dei giudizi di quanti, al contrario, sono ancorati a schemi ideologici retaggio di un secolo che non c’è più.
Oggi sappiamo che il consenso al fascismo fu ampio, che l’Italia venne liberata dall’esercito americano e che la Resistenza, con tutti i suoi eroismi, fu un fenomeno minoritario.
La Repubblica italiana è nata dopo quelle esperienze. E noi oggi in quella Repubblica abbiamo deciso di fare politica.
Il fascismo non c’è più. L’antifascismo storicamente inteso nemmeno.
La gente, i giovani in particolare, si aspettano risposte ai problemi di ogni giorno: il lavoro, la casa, l’accesso al credito per chi vorrebbe farsi una famiglia.
Per non deludere queste aspettative occorre una classe politica con lo sguardo rivolto in avanti e non con la testa indietro.
Fascismo e antifascismo appartengono a un’altra epoca. Noi siamo tra quelli che vogliono guardare avanti.

Fabio Raimondo
Presidente Azione Giovani Provincia di Milano
Dirigente Provinciale di Alleanza Nazionale

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