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Modifiche all’orario di lavoro? L’On. Toia: "Pronta a votare no alla direttiva del Consigio Europeo"

(Strasburgo, 11 dicembre 2008) In un momento in cui i diritti dei lavoratori, di tutte le categorie dei lavoratori sono minacciati dalla crisi economica non si può indebolire la situazione dei lavoratori, tornare indietro ad un diritto del lavoro che sembra favorire gli accordi individuali ed ha come obiettivo principale di aumentare le ore di lavoro, fino addirittura a 60.

Domani, in molti sciopereranno, per difendere il loro diritto ad un lavoro dignitoso e la prossima settimana l’Europarlamento dovrà votare la nuova direttiva del Consiglio Europeo dei Ministri del Lavoro sull’orario di lavoro. L’intesa, raggiunta dal Consiglio lo scorso 9 giugno a Lubiana, prevede sia l’introduzione di un quadro europeo di garanzie relative ai trattamenti economici e normativi riservati ai dipendenti delle agenzie di lavoro temporaneo, sia – ed è questo l’argomento su cui si è maggiormente concentrata l’attenzione – la modifica dei termini generali di definizione degli orari di lavoro.

Tramite la direttiva, agli Stati Membri sarà concesso di modificare la propria legislazione per permettere ai singoli lavoratori di sottoscrivere accordi individuali con i propri datori di lavoro – il cosiddetto opt-out –, con un monte orario che potrà arrivare fino a 60 ore settimanali, e a 65 per alcune categorie, come i medici.

Patrizia Toia, europarlamentare del Partito Democratico, insieme ad altri colleghi del PD nell’ADLE e nel PSE, si dichiara pronta a votare “no”, se la proposta del Consiglio non sarà cambiata.

“Voterò NO – afferma l’On. Patrizia Toia – non per scelta sindacale, ma perché ritengo che nella mia qualità di politico, sia necessario rafforzare la tutela dei lavoratori. Sostengo la posizione del relatore Cercas quando ritiene che lasciare, semplicemente, al lavoratore la possibilità dell’opt-out, cioè di poter firmare un accordo per prolungare l’orario di lavoro, può mettere il lavoratore in condizioni di subire pressioni e ‘abusi’, perché il rapporto lavoratore-datore di lavoro è impari e sbilanciato.

“L’opt-out non è sinonimo di flessibilità, dato che essa può essere attuata in altre forme, ma non attraverso un indebolimento oggettivo del lavoratore, giovane, donna o lavoratore maturo che sia, e una riduzione delle tutele che in questo momento storico, devono essere rafforzati perché i posti di lavoro si riducono e il possibile condizionamento è in aumento. È stato denunciato che l’opt-out volontario ha dato luogo, in molti paesi, ad abusi e forme di ‘ricatto’ per questo si devono trovare i mezzi sia per eliminare questo elemento progressivamente e sostituirlo con altre forme di flessibilità”.

Secondo Patrizia Toia questa dell’orario del lavoro è una materia da valutare con estrema delicatezza, tanto più in questo momento di crisi economica e di precarietà, con migliaia di persone che ogni mese perdono il lavoro: “Pensare che un lavoratore, soprattutto se giovane, poco qualificato, precario o donna, possa essere libero di scegliere se lavorare più ore di quanto stabilito, resistendo ad eventuali pressioni del datore di lavoro, significa non avere coscienza di quali siano le attuali difficoltà e le reali condizioni dei lavoratori europei".

Per quanto riguarda il tempo ‘non attivo’ sul posto di lavoro, per Toia si può discutere del modo in cui conteggiarlo, ma non può certo essere ignorato. Anche qui dovrebbe valere l’insegnamento latino che tutto ciò che non è ozio è negozio, quindi lavoro.

Redazione

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