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A Gaggiano, su un’area sottratta alla mafia nasce il Bosco dei cento passi

Gaggiano, 18 aprile 2009 – Una due giorni contro la mafia e per l’Ambiente. Primo appuntamento, ieri sera, all’auditorium di Gaggiano di via Dante alle 21, con il film I cento passi e l’intervento del giudice Paolo Ielo, impegnato nella lotta alle mafie. Secondo appuntamento, oggi alle 17, con l’inaugurazione del Bosco dei Cento passi, in frazione San Vito, realizzato su un’area sottratta alla mafia. Testimonial di eccezione: Salvo Vitale, amico di Peppino Impastato vittima della mafia.
Presenti all’inaugurazione, il sindaco di Gaggiano Franco Miracoli, l’assessora provinciale all’Ambiente Bruna Brembilla, il presidente di Ersaf Roberto Albetti e, per la Regione, Roberto Carovigno, dirigente di Regione Lombardia

“Il Bosco dei Cento Passi – afferma  Franco Miracoli, sindaco di Gaggiano – è il risultato di un importante lavoro di rete tra istituzioni, Regione, Provincia, ERSAF e Comune, che insieme hanno recuperato un’area alla sua naturalità, mettendola a disposizione della città e dei suoi cittadini. L’obiettivo è che diventi per tutti un patrimonio da vivere e da accudire”.
“La lotta alla mafia è una questione civile e politica, ma più ancora morale ed etica – dice Bruna Brembilla, assessora all’Ambiente della Provincia di Milano – Aver confiscato alla mafia quest’area di San Vito e averla restituita alla collettività, all’interno del progetto “Il Metrobosco”, ha un significato importantissimo. Che si fonda sull’impegno delle istituzioni per la legalità nel territorio e per la tutela della natura”.

“Regione Lombardia, attraverso i  Sistemi Verdi, promuove promuove ecosistemi agro-forestali in luoghi con una forte presenza umana – afferma Luca Daniel Ferrazzi, assessore all’Agricoltura Regione. L’intervento nel Comune di Gaggiano rappresenta un importante tassello di questo progetto pilota che prevede la nascita di 10.000 ettari di nuovi boschi nella nostra pianura”.
“Alla valenza ambientale e paesaggistica dell’intervento operato sull’area di San Vito – dichiara Roberto Albetti, presidente di ERSAF – si aggiunge l’importante operazione culturale che ha permesso di creare un parco su terreni sottratti alla criminalità. ERSAF, con il suo contributo alla progettazione e realizzazione dell’opera, ne riconosce lo straordinario valore aggiunto, continuando a lavorare per rendere concreta la sfida del “creare verde” e metterlo a disposizione degli unici veri proprietari: i cittadini”.
Durante la manifestazione di inaugurazione sono stati intitolati alcuni alberi alle seguenti vittime delle mafie: Peppino Impastato, Graziella Campagna, Carmelo Di Giorgio e Primo Perdoncini, Pino Puglisi, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Iqbal Masih e gli Agenti della scorta.

Peppino Impastato
Giuseppe Impastato, meglio noto come Peppino (Cinisi, 5 gennaio 1948 – Cinisi, 9 maggio 1978), è stato un politico e conduttore radiofonico famoso per la militanza antifascista ma soprattutto per le denunce delle attività della mafia in Sicilia. Nato da una famiglia mafiosa (il padre Luigi era stato inviato al confino durante il periodo fascista, lo zio e altri parenti erano mafiosi e il cognato del padre era il capomafia Cesare Manzella, ucciso nel 1963), ancora ragazzo rompe con il padre, che lo caccia di casa, ed avvia un’attività politico-culturale antimafiosa. Nel ’78 si candida nella lista di Democrazia Proletaria alle elezioni comunali. Viene assassinato nella notte tra l’8 e il 9 maggio del 1978, nel corso della campagna elettorale, con una carica di tritolo posta sotto il corpo adagiato sui binari della ferrovia. Pochi giorni dopo, gli elettori di Cinisi votano il suo nome, riuscendo ad eleggerlo, simbolicamente, al Consiglio comunale.

Graziella Campagna
Cresciuta in una famiglia numerosa (sette tra fratelli e sorelle) a Saponara Superiore, abbandona gli studi e trova lavoro come aiuto lavandaia in una città vicina, Villafranca Tirrena, un impiego in nero che le frutta solo 150 mila lire al mese. Un giorno trova un documento nella tasca di una camicia di proprietà di un certo "Ingegner Cannata". Il documento rivela che il vero nome dell’uomo è Gerlando Alberti junior, nipote latitante del boss Gerlando Alberti senior (assicurato alla giustizia anni prima dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa). Quest’informazione le costerà la vita. Il corpo fu ritrovato il 12 dicembre 1985 a Forte Campone con cinque ferite d’arma da fuoco, sparate da una lupara calibro 12.

Carmelo Di Giorgio e Primo Perdoncini
Carmelo Di Giorgio e Primo Perdoncini – operai della ditta Montresor e Morselli di Verona, avevano acquistato agrumi dai produttori della piana di Gioia Tauro turbando così il mercato agrumicolo controllato dalla ‘ndrangheta. Sono stati uccisi a Rizziconi il 5 gennaio 1979.

Pino Puglisi
Padre Giuseppe Puglisi nasce il 15 settembre 1937 a Brancaccio, quartiere povero di Palermo, da una famiglia modesta (il padre calzolaio, la madre sarta). A 16 anni, nel 1953 entra nel seminario parlermitano da dove ne uscirà prete il 2 luglio 1960 ordinato dal cardinale Ernesto Ruffini. Nel 1961 viene nominato vicario cooperatore presso la parrocchia del Santissimo Salvatore nella borgata di Settecannoli, limitrofa a Brancaccio, e successivamente rettore della chiesa di San Giovanni dei Lebbrosi. E’ stato ucciso dalla mafia il 15 settembre 1993, giorno del suo 56° compleanno, per il suo costante impegno evangelico e sociale.

Carlo Alberto Dalla Chiesa
Carlo Alberto Dalla Chiesa (Saluzzo, 27 settembre 1920 – Palermo, 3 settembre 1982) fu partigiano, generale dei Carabinieri e prefetto, divenuto noto per il suo impegno nella lotta contro il terrorismo italiano prima e la lotta alla mafia in seguito. Morì in un agguato mafioso nella città di Palermo il 3 settembre 1982.. Nel 1970 svolse indagini sulla misteriosa scomparsa del giornalista Mauro De Mauro, il quale poco prima aveva contattato il regista Francesco Rosi promettendogli materiale che lasciava intendere scottante sul caso Mattei. Le indagini furono svolte con ampia collaborazione fra i Carabinieri e la Polizia, per la quale erano dirette da Boris Giuliano, anch’egli in seguito ucciso dalla mafia. Giuliano, peraltro, aveva iniziato ad investigare su molti aspetti operativi ed organizzativi della criminalità organizzata, in una fase in cui venivano alla ribalta personaggi come Michele Sindona e divenivano evidenti (o meno nascondibili) i "nessi" con il mondo politico. Le indagini sul De Mauro, però, non sortirono effetti di rilievo.

Giovanni Falcone
Giovanni Falcone (Palermo, 18 maggio 1939 – 23 maggio 1992) è stato un magistrato italiano, tra i padri della lotta alla mafia, ed è considerato un eroe italiano. Nel periodo che va dal 1991 alla sua morte, Falcone fu molto attivo, cercando in ogni modo di rendere più incisiva l’azione della magistratura contro il crimine. Sostenuto da Martelli, Falcone rispose sempre con lucidità di analisi e limpidezza di argomentazioni, intravedendo, presumibilmente, che il coronamento della propria esperienza professionale avrebbe definito nuovi e più efficaci strumenti al servizio dello Stato. Eppure, nonostante la sua determinazione, egli fu sempre più solo all’interno delle istituzioni, condizione questa che prefigurerà tristemente la sua fine. Emblematicamente, Falcone ottenne la nomina a Superprocuratore il giorno prima della sua morte.

Paolo Borsellino
Paolo Emanuele Borsellino (Palermo, 19 gennaio 1939 – 19 luglio 1992) è stato un magistrato italiano, vittima di mafia. È considerato un eroe italiano, alla stregua di Giovanni Falcone. Il 19 luglio 1992, dopo aver pranzato a Villagrazia con la moglie Agnese e i figli Manfredi e Lucia, Paolo Borsellino si reca insieme alla sua scorta in via D’Amelio, dove vive sua madre. Una Fiat 126 parcheggiata nei pressi dell’abitazione della madre con circa 100 kg di tritolo a bordo esplode, uccidendo oltre a Paolo Borsellino anche i cinque agenti di scorta Emanuela Loi (prima donna della Polizia di Stato caduta in servizio), Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L’unico sopravvissuto è Antonino Vullo. Pochi giorni prima di essere ucciso, durante un incontro organizzato dalla rivista MicroMega, Borsellino parlò della sua condizione di "condannato a morte". Sapeva di essere nel mirino di Cosa Nostra e sapeva che difficilmente la mafia si lascia scappare le sue vittime designate.

Iqbal Masih
Nato nel 1983 in Pakistan, Iqbal Masih aveva quattro anni quando suo padre decise di venderlo come schiavo a un fabbricante di tappeti. Per 12 dollari. Inizia così una schiavitù senza fine: Iqbal inizia a lavorare per più di dodici ore al giorno. Un giorno nel 1992 Iqbal e altri bambini escono di nascosto dalla fabbrica di tappeti per assistere alla celebrazione della giornata della libertà organizzata dal Fronte di Liberazione dal Lavoro Schiavizzato (BLLF). Forse per la prima volta Iqbal sente parlare di diritti e dei bambini che vivono in condizione di schiavitù. Proprio come lui. Spontaneamente decide di raccontare la sua storia: il suo improvvisato discorso fa scalpore e nei giorni successivi viene pubblicato dai giornali locali. Iqbal decide anche che non vuole tornare a lavorare in fabbrica e un avvocato del BLLF lo aiuta a preparare una lettera di "dimissioni" da presentare al suo ex padrone. Ma la storia della sua libertà è breve. Il 16 aprile 1995 gli sparano a bruciapelo mentre corre in bicicletta nella sua città natale Muridke, con i suoi cugini Liaqat e Faryad

Gli agenti della scorta – vittime del dovere
“Quando vado nelle scuole, prima ancora di parlare di Paolo parlo dei "suoi ragazzi" come lui li chiamava (riferendosi agli agenti della scorta ndr) e racconto qualcosa di ognuno di loro; piccoli episodi che facciano capire che sono persone come tutti noi, con i loro sogni, i loro desideri". Così Rita Borsellino, sorella del magistrato morto nella strage in via D’Amelio, parlava lo scorso anno riferendosi ai cinque agenti di scorta uccisi insieme a suo fratello.

Redazione

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