(mi-lorenteggio.com) Milano, 05 dicembre 2009 – In una realtà spesso ricca di sofferenze, ingiustizie e atrocità derivanti da uno stato di guerriglia, Steve Mccurry, celebre fotografo americano, ci presenta attraverso l’obbiettivo della sua macchina fotografica ottanta scatti, riassumenti la sua missione attraverso vent’anni di reportage fotografici dedicati alla guerra e alle diversità di culture ai confini del mondo.
Ricca di mistero e velata da un incanto eternato nella profondità del primo scatto, la bambina che lo rese celebre “Sharbat Gula”, divenne per lui, non solo il motivo scatenante che gli porterà fama a livello mondiale, ma l’inizio di una nuova visione del mondo attraverso l’innocenza e al tempo stesso la profondità di uno sguardo parlante.
Dal quel momento in poi, servendosi dell’immortalità derivante dalla parte più nascosta dell’animo umano, egli riuscirà a penetrare quella sottile linea che vede l’uomo in bilico tra il dolore e la gioia.
Le sue fotografie spesso ci raccontano dell’innocenza rubata, della gioia di un bambino che pur facendo parte di una vita di stenti trova la voglia di ridere, di giovani donne private della loro intimità che si nascondono dentro un grido silenzioso, delle atrocità della guerra e di quel mondo giovanile troppo spesso deturpato dal peso di un’esistenza senza via d’uscita.
L’incontro con Sharbat, la piccola rifugiata al campo profughi di Nasir Begh nel 1984, aprirà più tardi una vera e propria ricerca, che impegnerà il fotografo nel ritrovamento della “bambina dagli occhi di ghiaccio”.
Attraverso una dettagliata ricostruzione della foto, che ha visto gli esaminatori di National Geographic impegnati in una ricostruzione identificativa della cornea, si è aperto un vero e proprio dossier televisivo.
Il ritrovamento della bambina, oramai diventata donna, si è concluso solo di recente. Sharbat, oggi è una moglie e una madre rispettabile, ha avuto quattro figlie e a distanza di anni ha finalmente visto la sua fotografia di giovane donna.
Ella è diventata un simbolo, il simbolo della sofferenza di un’intera generazione di donne Afgane e dei loro bambini.
E’ diventata la testimonianza vivente che anche in un mondo ricco di difficoltà apparentemente insuperabili, la voglia di vivere e l’ardore di uno sguardo infuocato può prevalere su qualsiasi male.
Caterina Licata