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L’ARCIVESCOVO DI MILANO INVITATO A PALAZZO MARINO HA PRUNUNCIATO UN IMPORTANTE DISCORSO AL CONSIGLIO COMUNALE

 

(mi-lorenteggio.com) Milano, 11 febbraio 2019 – Nel pomeriggio di oogi, mons. Mario Delpini, arcivescovo di Milano, si è recato a Palazzo Marino, su invito del Presidente del Consiglio comunale Lamberto Bertolè per tenere un significativo discorso, che intende evidenziare l’importanza della dimensione istituzionale.
Rivolgendosi direttamente all’intero Consiglio comunale, quindi a tutti i rappresentanti dei cittadini, l’Arcivescovo intende così riprendere e approfondire le tematiche già lanciate durante il Discorso di Sant’Ambrogio dello scorso 6 dicembre 2018.
Un «evento storico», afferma mons. Carlo Azzimonti, vicario episcopale della città di Milano, ricordando che «l’ultimo Vescovo a parlare in questo contesto fu il cardinale Martini nel 2002».

«Aprire una riflessione da ‘continuare insieme a tutti coloro che abitano la città’. È l’impegno al quale ci chiama l’Arcivescovo di Milano, Sua eccellenza Monsignore Mario Delpini. L’idea di un esercizio pubblico dell’intelligenza da mettere al servizio di una visione di città, di società, attraverso la riflessione critica e la condivisione del pensiero, e non solo delle emozioni, è senz’altro vincente. Delpini oggi in Consiglio comunale ha citato la Costituzione e la pari dignità dei cittadini e ha ribadito la disponibilità della Chiesa alla costruzione di un’alleanza tra le istituzioni per condividere strategie e responsabilità, migliorare la capacità di amministrare la nostra comunità, contrastare le disuguaglianze e promuovere il benessere nei quartieri. Tocca a noi adesso, al Consiglio comunale e alla politica in generale, raccogliere questo invito e lavorare perché questa alleanza possa diventare strumento di buona amministrazione».
Così il presidente del Consiglio comunale di Milano, Lamberto Bertolé, in occasione della visita e dell’intervento in Sala consiliare dell’arcivescovo di Milano, Sua eccellenza Monsignore Mario Delpini.

Ecco il testo integrale dell’intervento:

Pensare l’alleanza delle istituzioni per il bene comune

Premesse

a) Un articolo della Costituzione della Repubblica Italiana
Art. 3: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
b) L’occasione e la gratitudine
L’invito rivolto al Vescovo a partecipare e a rivolgere la sua parola al Consiglio Comunale di Milano è un modo con cui l’amministrazione comunale riconosce la rilevanza per il bene di Milano della Chiesa cattolica nella sua capillare presenza sul territorio. La coincidenza di questa data con il ricordo dei Patti Lateranensi, per quanto casuale, è però significativa e consente di riconoscere che entro i rapporti non privi di complessità tra lo Stato Italiano e la Chiesa cattolica, la tradizione e l’attualità milanese scrivono pratiche di eccellenza, anche in questo campo. D’altronde l’art. 1 dell’Accordo di revisione del Concordato lateranense, siglato il 18 febbraio del 1984, impegna “la Repubblica italiana e la Chiesa cattolica alla reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese”.

Il vescovo esprime gratitudine per questo apprezzamento che riconosce l’incalcolabile patrimonio di cultura, di solidarietà, di assistenza, di dedizione educativa. Naturalmente il vescovo esprime anche l’auspicio che le persone che pensano e riflettono con spirito critico e autocritico non si confrontino con la Chiesa cattolica solo per riconoscere il servizio che ha reso e rende in molti ambiti della vita della città e per l’”utilità” che rappresenta, ma anche per lasciarsi interrogare dalla parola e dalle intenzioni che muovono la Chiesa a questa presenza, a questo servizio, a questa disponibilità a farsi carico delle persone e delle problematiche. Infatti quello che di più proprio la Chiesa cattolica ha da offrire è la persuasione che la vita abbia un senso, che abbia una direzione, che sia risposta alla promessa di Dio della vita eterna e che la via sia buona in obbedienza al comandamento di Gesù che indica la strada dell’amore fraterno e del servizio ai poveri quale frutto della vita di Dio donata agli uomini, cioè della vita eterna, alla quale guarda la nostra speranza.

1. Il linguaggio comune come condizione del pensiero costruttivo.
Nel riproporre quanto è stato indicato con l’intenzione di formulare un augurio, sia pure con una espressione un po’ provocatoria, nel discorso intitolato “Autorizzati a pensare”, mi permetto di condividere una riflessione sulle condizioni per l’esercizio del pensiero che abbia come oggetto la vita della città e le prospettive per cui possiamo impegnarci.
Credo che per un pensiero che renda vivo il dialogo, audace e lungimirante la progettualità, rispettoso il confronto tra le diverse posizioni e i diversi punti di vista, corretta la sfida per conquistarsi il consenso dei cittadini, la condizione sia di condividere un linguaggio, cioè di avere come punti di riferimento condivisi alcuni valori, di praticare come procedure comuni alcune regole di comportamento.
La riproposizione di alcune di queste componenti di un “linguaggio comune” può suonare come una ripetizione dell’ovvio; può anche essere, però, un ritrovare le radici da cui viene il vigore per portare frutto, la fierezza di una appartenenza e la persuasione della legittimità delle differenze e delle contrapposizioni.
Infatti, sul presupposto della condivisa opzione democratica e nella legittimità delle diverse anime che abitano la città, risulta costruttiva quella dialettica democratica che lascia emergere anche decisioni alternative che cercano poi nel voto dei cittadini la verifica della corrispondenza tra le scelte compiute e le attese della popolazione.

Tra gli elementi che compongono il “linguaggio comune” è doveroso riconoscere la Costituzione della Repubblica italiana. Si riconosce che la nostra Costituzione è un testo che conserva il suo valore e nella prima parte raccoglie il convergere di principi condivisi dai padri costituenti, che pure esprimevano culture, punti di vista, ideologie diverse e anche contrastanti. Il riferimento alla costituzione non può essere solo un appello retorico, deve piuttosto essere un criterio per orientare e giudicare le scelte, con l’inevitabile impegno di interpretazione e di mediazione nel contesto attuale. Per esempio l’art 3 che ho citato in premessa indica impegni e orientamenti che possono essere molto incisivi nelle scelte ordinarie dell’Amministrazione comunale.

Mi permetto di sottolineare che tra i fattori determinanti del “linguaggio comune” deve essere iscritta una nozione condivisa di “bene comune”, supponendo che sia condiviso il principio che l’Amministrazione comunale deve farsi carico del bene comune. Se questo sta, è determinante chiarire che cosa si intende per “bene comune”.
Mi permetto di suggerire che il “bene comune” debba essere inteso come il convivere sereno e solidale dei cittadini. Promuovere il bene comune significa quindi promuovere la appartenenza consapevole alla comunità cittadina.

Ancora mi permetto di mettere in evidenza che tra i fattori determinanti del “linguaggio comune” dovrebbe essere incluso un tema che può essere controverso, ma che io ritengo irrinunciabile e che merita di essere oggetto del pensare costruttivo, critico, saggio al quale ci sentiamo autorizzati. E’ il tema della centralità della famiglia: ritengo infatti che la famiglia sia la risorsa determinante per favorire il convivere sereno e solidale. La considerazione della famiglia e la sua centralità per il benessere della città si scontra con la tendenza diffusa a dare enfasi ai diritti individuali, nel costume, nella mentalità e nella legislazione nazionale come nelle delibere comunali. A me sembra però che sia ragionevole, in vista della promozione del bene comune, che si promuova la famiglia come forma stabile di convivenza, di responsabilità degli uni per gli altri, di luogo generativo di futuro. Il preoccupante calo demografico, la desolata solitudine degli anziani, i fenomeni allarmanti della dispersione scolastica, delle dipendenze in giovanissima età, dell’indifferenza individualistica devono dare molto da pensare a chi ha a cuore il bene comune. Ribadisco la mia persuasione, espressa anche nel discorso di sant’Ambrogio, che sia onesto riconoscere che le problematiche nominate e anche altre connesse suggeriscono che la famiglia è la risorsa determinante, è la cellula vivente … certo la famiglia non da sola: pertanto mi sembra opportuno invitare le istituzioni e impegnare la Chiesa diocesana a convergere nel propiziare le condizioni perché si possano formare famiglie e siano aiutate ad essere stabili, a vivere i loro desideri, a praticare le loro responsabilità (Autorizzati a pensare, 27).

2. Percorsi di pensiero costruttivo.

Per quanto io posso vedere questa finalità comprensiva suggerisce almeno due percorsi che mi sento di raccomandare e di riproporre.

Il primo percorso si può riassumere nell’arte del buon vicinato. È un percorso che invita e responsabilizza tutti i cittadini e tutti gli abitanti che convivono nella città e che propone l’atteggiamento della cittadinanza attiva, vigile, intraprendente. Il buon vicinato, infatti, non si può decidere con una delibera comunale eppure non si deve neppure lasciare alla buona volontà dei singoli. Si tratta di una promozione culturale che grazie alla mediazione di molte presenze territoriali diffonde un modo di intendere il vicino, i vicini di casa come potenziali alleati e non come potenziali minacce. Le presenze territoriali che possono favorire e praticare questo atteggiamento e le attività che ne possono conseguire sono molteplici e devono trovare sostegno, incoraggiamento per rendere incisiva la loro azione. Tali presenze si possono nominare in modo solo allusivo, dato il loro numero e la loro diffusione nel territorio: nomino quindi le parrocchie e gli oratori, le scuole e i centri culturali, le associazioni di volontariato e di solidarietà, i centri di ascolto e i consultori familiari, le associazioni dei commercianti, degli inquilini, i presidi sanitari, ecc.
Ritengo che l’Amministrazione comunale possa fare molto per sostenere le buone pratiche e bonificare i territori esposti al pericolo di diventare incubatori di violenza, risentimento, illegalità. La cura per i servizi sul territorio e il coinvolgimento dei cittadini per il buon funzionamento dei servizi (dalla Nettezza urbana ai trasporti pubblici, dalla manutenzione del verde pubblico al contenimento dei vandalismi, ecc), la cura per le condizioni abitative e il patrimonio immobiliare, la cura per il trasporto pubblico, la presenza capillare della Polizia Locale, la promozione di iniziative di animazione, di festa nei quartieri, e chi sa quante altre cose che si fanno, che si potrebbero fare, sono aiuti concreti e incoraggianti per molti cittadini e abitanti che desiderano contribuire a un convivere sereno e solidale.

Il secondo percorso si può riassumere nell’alleanza delle istituzioni. Si deve riconoscere che nella tradizione milanese le istituzioni hanno coltivato rapporti di stima reciproca, di abituale collaborazione, di molteplicità di confronti. Credo che la stagione sia propizia e incoraggiante per intensificare questa dinamica positiva. L’alleanza tra le istituzioni deve essere intesa come uno stile di rapporti, di incontri, di confronto che diventa il contesto favorevole a rispondere alle domande imposte dal presente e dal futuro.
Tali domande sono domande di orizzonte e di prospettiva: che cosa intendiamo per “città”? come descriverne il “funzionamento”, le sue dinamiche interne, le pressioni e i condizionamenti del contesto nazionale, europeo, planetario? quale città vorremmo costruire? Quali risorse abbiamo per dare un volto desiderabile alla città? Affrontare queste domande richiede non solo competenza ed esperienza, ma anche una visione di prospettiva. La prospettiva di Milano deve essere Europea e Mediterranea, per essere fedele alla sua vocazione. Questi orizzonti irrinunciabili acquistano particolare fascino e sono una particolare responsabilità in questa stagione che prepara le elezioni europee e registra una povertà preoccupante di contenuti.
Ma le domande sorgono anche dalla “cronaca spicciola”, cioè dalla vita vissuta nei diversi territori della città, così articolata e differenziata. In ogni territorio ci si deve domandare: quali sono le risorse? Quali sono le presenze promettenti? Quali le presenze preoccupanti? Quali i servizi necessari? Quali i luoghi di promozione dell’incontro, del “buon vicinato”? Quali le problematiche più acute e da affrontare con urgenza?
In città vivono e operano istituzioni prestigiose, efficienti, dotate di risorse, di idee, di esperienza. Tra le istituzioni si devono nominare l’Amministrazione comunale, le università e la scuola, le forze dell’ordine, le parrocchie e la chiesa diocesana, le comunità cristiane e di altre religioni.
La mia presenza in questa sede e in questa occasione è per ribadire la disponibilità della Chiesa diocesana nelle sue varie articolazioni centrali e territoriali per essere partecipe di questa alleanza, per farsi promotrice attiva di quanto può consolidarla e renderla operativa nell’affrontare le domande di più ampio orizzonte e le domande che sorgono dalla cronaca spicciola. La Chiesa ambrosiana può offrire il servizio disinteressato per coniugare sviluppo ed equità, sicurezza e inclusione con la sua presenza capillare in tutta la città e la sua riserva di sapienza e di speranza che le ha consentito di attraversare i secoli e di guardare con fiducia al futuro.

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