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La Cassazione torna sui suoi passi: la coltivazione di piante di marijuana è legale, ma solo per uso personale

 

Milano, 12 marzo 2020 – Mutando l’orientamento più recente, quello del maggio 2019, il 19 dicembre scorso la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha espresso il principio di diritto secondo cui non si configura il reato di coltivazione di piante da cui sono estraibili sostanze stupefacenti quando l’attività di coltivazione della marijuana è svolta in forma domestica, in modestissime quantità e quindi, presumibilmente, per uso personale.

Questa svolta giurisprudenziale ha permesso ai numerosi growshops e a siti web come sensoryseeds.it, che si occupano di vendita online di semi di marijuana da collezione, di riprendersi il legittimo spazio nel mercato che la precedente pronuncia aveva loro sottratto. Numerose erano state le proteste e le rivendicazioni dei commercianti, che avevano accolto la sentenza con risentimento, anche per il rischio che una decisione del genere portasse alla perdita di migliaia di posti di lavoro.

Partendo dall’inizio: la prima pronuncia della Corte di Cassazione

In un primo momento, infatti, la Suprema Corte aveva vietato tout court la coltivazione di marijuana. Il ragionamento della Corte si basava sul presupposto della potenzialità offensiva di chi faceva crescere una pianta conforme al tipo botanico vietato. La pianta di cannabis, in quanto tale, sarebbe di fatto idonea a produrre sostanze stupefacenti. Il fine ultimo della Cassazione era quello di scongiurare il pericolo della vendita o detenzione per commercializzazione delle infiorescenze, punito dalla legge penale. Per far questo aveva vietato anche la mera coltivazione delle piante di cannabis, in quando condotta potenzialmente preparatoria al reato che i giudici miravano a scongiurare.

La svolta giurisprudenziale

Le Sezioni Unite hanno smussato la linea rigorosa dei colleghi, ribadendo il principio per cui la vendita e la detenzione per il commercio di marijuana con una concentrazione di THC superiore allo 0,6% è illecita in base sia dalle norme italiane, che, indirettamente, da quelle europee relative alla coltivazione della canapa.

Una volta chiarito questo punto, però, la Cassazione fa un importante distinguo. Da un punto di vista realistico, infatti, il reato di vendita e detenzione ai fini di commercializzazione di cannabis si può presumere qualora le piante di marijuana siano coltivate in una quantità ragionevole, tale da poter produrre non solo un quantitativo di fiorescenze idoneo alla commercializzazione, ma anche con modalità tali da rivelare una certa professionalità dell’attività. In assenza di queste condizioni, il reato sarebbe da escludere, salvo, ovviamente, prova contraria. Al fine di meglio delineare quando la coltivazione di cannabis non è vietata, la Corte ha anche elencato alcuni elementi che facciano presumere l’uso personale.

I presupposti di non punibilità della coltivazione di marijuana

I presupposti, non alternativi, ma cumulativi e che sono richiamati dalla Corte nella storica pronuncia di dicembre fanno riferimento a situazioni tali da lasciar pensare che la coltivazione della pianta sia fatta esclusivamente ad uso personale e, nello specifico, i giudici hanno affermato che la condotta non rientra nell’ambito di applicazione della norma penale e, quindi, non è punibile nel caso in cui:

– l’attività di coltivazione siano di modeste dimensioni;

– siano svolte in forma domestica;

– le tecniche utilizzate siano rudimentali;

– le piante non siano numerose;

– la quantità di prodotto ricavabile sia minima;

manchino ulteriori indici da cui dedurre un loro inserimento nel mercato degli stupefacenti.

Adesso è sì anche per l’uso alimentare

La sentenza in oggetto spalanca le porte al commercio di sementi di cannabis light, che sono sempre più apprezzati anche per le loro proprietà benefiche. A completamento di questa maggiore permessività verso il mondo della marijuana è intervenuto anche un decreto ministeriale, che, di fatto, ha lasciato il campo libero all’utilizzo dei derivati della cannabis anche a tavola.

Rimangono, anche in questo caso, dei limiti di concentrazione del THC ammissibile: il 0,2% nei semi e il 0,5% nell’estratto oleoso, a difesa della salute pubblica. I prodotti che contengano una percentuale inferiore non rientrano nella definizione di sostanze stupefacenti e, quindi, la vendita e l’utilizzo degli stessi non sono vietati dalla legge penale e non sono punibili.

Le proprietà benefiche

La ragione sottesa a questo importante spiraglio aperto dal legislatore e dai giudici italiani deriva non solo dal riconoscimento che, sotto determinate soglie, l’effetto psicotropo di THC è sostanzialmente innocuo, ma, soprattutto, della presa di coscienza della possibilità di utilizzo terapeutico di questa meravigliosa pianta, nelle varie forme in cui si può presentare, dai semi agli oli.

Difatti, il THC non è l’unica sostanza presente nella cannabis, ma dopo questa la più importante è senza dubbio il CBD. Le proprietà benefiche del cannabidiolo sono state riconosciute perfino dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, che ne ha consigliato l’uso terapeutico per alcune patologie croniche come l’epilessia e che ne sta studiando gli effetti anche per l’Alzheimer.

Più nello specifico, i semi di cannabis light

Direttamente coinvolto da questa decisione è il commercio di semi di cannabis light, che si libera dalle precedenti restrizioni. Con il limite precedentemente indicato dello 0,2% per quanto concerne la concentrazione di THC, la commercializzazione dei semi sembrerebbe, quindi, libera.

Questo permetterà al pubblico di coltivare piante di cannabis alle condizioni indicate sopra e quindi per uso strettamente personale, per interesse botanico o con scopi decorativi. Inoltre, sarà possibile godere degli effetti positivi e salutari anche del solo seme.

Utilizzato spesso a fini alimentari, è un alimento con un alto tasso di proteine che, per la loro composizione, contribuiscono efficacemente alla rinnovazione cellulare. Alle proprietà antiossidanti, che sono senza dubbio particolarmente ricercate e apprezzabili, si aggiunge l’utilità dei semi per i disturbi cardiovascolari, l’artrosi e per ridurre il colesterolo.

Perché questa decisione è importante?

A prescindere dall’impatto positivo sulle imprese commerciali che operano in questo settore e che avevano subito una difficile contrazione delle vendite dopo la sentenza di maggio 2019, questa sentenza ha una particolare importanza perché è un passo in avanti per rimuovere lo stigma che grava sulla marijuana. Un uso consapevole e nel rispetto delle regole, con le concentrazioni prescritte, può avere degli effetti positivi, sconosciuti ai più.

La rimozione dei tabù ed una ricerca di informazioni affidabili possono costituire una base solida affinché si possano apprezzare le proprietà di questa pianta, evitandone allo stesso tempo i potenziali danni alla salute. L’acquisto da fonti sicure, come lo shop online Sensoryseeds.it, sono il miglior modo per approcciarsi a questo mondo, con la garanzia di legalità e assenza di rischi.

E’ fondamentale prendere atto, come ha fatto la Corte di Cassazione, di ciò che è veramente dannoso e cosa no, per depenalizzare quelle condotte che non solo sono innocue, ma che, anzi, possono aprire verso una forma salutare e inoffensiva di scoprire, senza pregiudizi, le bellezze di questa pianta, dal suo aspetto alle numerose proprietà benefiche che la rendono unica nel suo genere.

 

L. M.

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