Mercoledì 9 aprile alle ore 11 la cerimonia di intitolazione all’operaia e partigiana milanese morta nel campo di sterminio di Bergen-Belsen nel 1945
(mi-lorenteggio.com) Milano, 8 aprile 2025 – Milano ricorda Jenide Russo, operaia e partigiana milanese. Nel 1943, dopo l’Armistizio, prende parte alla Resistenza partigiana come staffetta al seguito di Egisto Rubini, responsabile dei Gap della Lombardia. Arrestata nel 1944 e deportata nei campi di concentramento come oppositrice politica muore il 26 aprile 1945 a Bergen-Belsen. Nel 2019 in via Paisiello 7, davanti alla casa dove visse con la mamma e le sorelle, è stata posta una pietra di inciampo in sua memoria.
Domani, mercoledì 9 aprile, alle ore 11, alla presenza dell’Amministrazione comunale, si svolgerà la cerimonia di intitolazione del giardino di piazzale Bacone, nel Municipio 3, a lei dedicato.
L’evento fa parte del palinsesto di iniziative “Tempo di Pace e di Libertà” realizzato dal Comune di Milano e presentato lo scorso 17 marzo a Palazzo Marino e dedicato all’80° Anniversario della Liberazione di Milano e dell’Italia del nazifascismo.
Nel 2019 in via Paisiello 7, davanti alla casa dove visse con la madre e le sorelle è stata posta una pietra di inciampo in su memoria.
Jenide (Eneidina) Russo nasce a Milano il 23 giugno 1917. Cresce con la madre e due sorelle in un appartamento di via Paisiello 7, nel quartiere Città Studi. Di professione operaia, la sua vita cambia radicalmente dopo l’8 settembre 1943, quando conosce Renato, partigiano della Brigata Garibaldi attiva in Val d’Ossola. Proprio attraverso lui si avvicina alla Resistenza, scegliendo di combattere contro il fascismo.
Diventa staffetta partigiana nel distaccamento “5 Giornate” e collabora con Egisto Rubini, responsabile dei GAP (Gruppi di Azione Patriottica) della Lombardia. Trasporta armi, esplosivi e messaggi rischiando ogni giorno la vita. Il 18 febbraio 1944 viene arrestata in via Aselli a Milano mentre trasporta una borsa contenente nitroglicerina destinata ai partigiani di Villadossola. La cattura avviene a seguito della delazione di un infiltrato. Una settimana dopo anche Rubini viene arrestato e, temendo di cedere sotto tortura, si toglie la vita nel carcere di San Vittore.
Jenide viene condotta nel carcere di Monza, dove subisce torture violente. In una lettera clandestina alla madre scrive: “Siccome non volevo parlare con le buone, allora hanno cominciato con nerbate e schiaffi. […] Però non hanno avuto la soddisfazione di vedermi gridare, piangere e tanto meno parlare”. Dopo giorni di isolamento e privazioni, viene trasferita a San Vittore e, il 27 aprile 1944, nel campo di transito di Fossoli.
Il 2 agosto 1944 è deportata in Germania nel lager femminile di Ravensbrück, dove si ammala di tifo petecchiale. Successivamente viene trasferita a Bergen-Belsen, dove muore il 26 aprile 1945, pochi giorni dopo la liberazione del campo.
Il coraggio, la forza e la fedeltà di Jenide Russo alla causa antifascista ne fanno una figura simbolica della Resistenza italiana. “Dì pure che ho mantenuto la parola di non parlare: credo che ora saranno tutti contenti di me”, scrive in un biglietto.
Nel 2019, la città di Milano le ha dedicato una pietra d’inciampo, posta in via Paisiello 7, davanti alla casa dove aveva vissuto con la madre e le sorelle, per ricordare il suo sacrificio e tenerne viva la memoria.