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Proverbio: D'aprile non ti scoprire.

Riflessioni sul ponte Morandi di Genova

(mi-lorenteggio.com) Milano, 27 settembre 2018 – 14 agosto, una data impressa nel cuore di tutti gli Italiani, i parenti delle vittime, gli sfollati, quelli rimasti senza lavoro, le centinaia di pendolari costretti a code di ore per raggiungere la sede di lavoro, e tutti gli uomini e donne che condividono empaticamente la sofferenze e le difficoltà di altri uomini e donne.
Ma il tempo passa, e nulla succede, anche se giornali e telegiornali non fanno che parlare, parlare, parlare, e intanto mostrano di continuo i due monconi spezzati, e le travi di ferro accartocciate, e lo squarcio che lacera cielo e cuori. Sulle magliette e i poster al centro dello squarcio c’è un cuore, ma quando comincerà a battere? Per ora non è dato saperlo.
All’ennesima visione del ponte, mi si è affacciato alla mente un ricordo lontano, di quando bambina trascorrevo l’estate dai nonni. Mio nonno aveva fatto tutta la prima guerra mondiale, in trincea. Raramente ne parlava, ma qualcosa me l’ aveva raccontato. Diceva che una volta, per far passare i soldati oltre un corso d’acqua, i pontieri avevano costruito una passerella, nonostante il fuoco nemico e le avverse condizioni atmosferiche, e poi, visto che non avrebbero fatto in tempo a fissarlo in maniera adeguata, si erano messi loro stessi al di sotto, sostenendo con le loro spalle i soldati che vi correvano sopra per raggiungere l’altra riva. Questa storia mi aveva colpito profondamente, poi gli anni l’avevano cancellata dai miei ricordi, fino ad oggi, quando è riaffiorata non per il crollo, ma per l’inerzia dei giorni che passano senza che ci sia un intervento, una decisione, un atto di coraggio. Ho cercato allora qualcosa su questi soldati, e ho scoperto come il loro contributo sia stato determinante nello svolgimento della guerra, come abbiano gettato centinaia di ponti e passerelle nei luoghi più esposti e difficili, spesso sotto il tiro di micidiali mitraglie, e come abbiano sovente fatto e rifatto il lavoro che veniva distrutto una due tre volte di seguito, di notte, nel fango, a prezzo spesso della vita. La battaglia del Piave, che portò alla vittoria finale, è un esempio lampante di questo coraggio, ma tutta la guerra è costellata dall’azione di questi uomini , in condizioni difficili se non disperate, che fecero il loro dovere senza chiedersi se fosse quello il momento giusto, il tempo meteorologico adatto, o in che stato fossero gli attrezzi. Certo dovere è una parola passata di moda, e qualcuno vuole ricostruire un ponte che sia anche “luogo di incontro e di divertimento”. Al di là del sorriso amaro che queste parole possono strappare, preoccupiamoci, anzi si preoccupi chi ne ha la responsabilità e il dovere, di ricostruire il ponte Morandi: non certo in una notte, non sostenuto dalle spalle dei volonterosi, ma almeno nel tempo più rapido possibile, in maniera sicura (anche se non fonte di svago e divertimento), e senza gli sprechi che caratterizzano quasi sempre le grandi opere pubbliche.
Chiedendo magari al Genio Pontieri una mano o un consiglio: l’esempio l’hanno già dato.

Valeria Acquarone

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