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Filatelia. Il caso di un chiacchierato folder nato a Milano

 

(mi-lorenteggio.com) Milano, 22 maggio 2019 – Il sogno di ogni collezionista è quello di indossare i panni della principessa che, fatta amicizia con un ranocchio, finisce col baciarlo trasformandolo così per quello che era: un aitante principe. Fuori di metafora, trasformare una crosta in un affare. Anche quando la previsione dell’affare è palesemente forzata, della quale possono al massimo lucrarne momentaneamente alcuni, ma in prospettiva si paleserà per quello che è. Una forzatura, appunto, destinata a sgonfiarsi. Come probabilmente succederà con il folder realizzato e venduto a 120 euro da Poste italiane in occasione di Milanofil, il Salone internazionale della filatelia dello scorso aprile.
Di cosa si tratti è presto detto. Dalle enormi rimanenze di francobolli Poste Italiane, in quanto concessionaria del ministero delle Sviluppo economico, ha prelevato un foglio (quello che comprende 20 esemplari del valore da 10.000 lire del 1983, del costo complessivo quindi di 200.000 delle vecchi lire) e due foglietti ( quello del 2012 per 150°Anniversario dell’unificazione del sistema monetario del 2012, da € 1,80 ed il foglietto del 28 novembre 2018 per il centenario dell’Aula di Montecitorio, con valore B, pari a 1.10 euro), il tutto messo in vendita attraverso un gigantesco folder. E fin qui siamo nella norma. Quello che ha fatto scattare la speculazione è stata la stampa aggiuntiva “Milanofil 21.3.2019”, seguita da un numero progressivo che va da 1 a 800, la tiratura, come si fa nelle stampe d’arte. Apriti cielo! E’ una nuova emissione, si è cominciato a sentire da parte di voci interessate, facendo così schizzare verso l’alto la quotazione.
Naturalmente le cose non stanno così. Non di nuova emissione si tratta, perché Poste Italiane, anche quando faceva parte del ministero delle Poste e non pensava a trasformarsi in società per azioni, non emetteva francobolli, facoltà questa in capo al ministero delle Poste ed in seguito trasferita al ministero delle Sviluppo economico. Ora Poste Italiane è una società come tante altre che si occupa di tante cose, ma non di emissione di francobolli, come sottolinea in questa dettagliata e puntuale precisazione Angelo Di Stasi, consulente filatelico del ministero dello Sviluppo economico.
Ricordato come “l’articolo 215 del Regolamento di esecuzione del Codice postale vieta espressamente ai venditori (ossia gli uffici postali, dunque Poste italiane S.p.A.) ed ai rivenditori (ossia i tabaccai ed i terzi autorizzati) di porre in vendita le carte-valori postali a prezzi diversi da quelli nominali o in uno stato diverso da quello in cui sono fornite dal Mef”, il consulente filatelico del Mise trae questa conclusione: ”Poste, in quanto concessionaria del servizio postale universale per conto dello Stato, non può vendere francobolli a prezzi diversi dai relativi valori facciali. Pur tuttavia, essendo Poste una azienda privata, nulla le vieta di operare, al pari di altri soggetti economici, anche nel settore del commercio filatelico.
Pertanto, così come chiarito dalle vigenti Linee guida emanate dal Mise, allorquando Poste realizza prodotti da collezione composti da francobolli bollati o, comunque, anche nuovi ma venduti in confezioni indivisibili recanti un prezzo differente dalla somma dei valori nominali delle singole carte-valori che lo compongono (come, ad esempio, i cosiddetti ‘folder’), agisce in qualità di operatore commerciale privato. In tale evenienza – continuano a specificare le Linee guida – la Concessionaria acquista da se stessa le carte-valori al valore nominale, operando le opportune imputazioni sul bilancio aziendale, e le rivende gravate dell’IVA prevista dalla legge per la corrispondente categoria merceologica.
Se, quindi, Poste acquista (seppur da se stessa) i francobolli, imputandone a bilancio la relativa spesa a valore facciale intero, ne diventa automaticamente proprietaria e, quindi, può disporne a piacimento, eventualmente anche sovrastampandoli e vendendoli a valore diverso da quello facciale, senza dover richiedere alcun tipo di autorizzazione e con il solo limite (peraltro non discendente dalla norma, ma indicato dal Mise) di utilizzarli solo per la produzione di prodotti commerciali e non “sfusi” allo stato di nuovo. Naturalmente, in una tale evenienza il francobollo smette di essere considerato, da un punto di vista fiscale, una carta-valore postale, divenendo automaticamente prodotto commerciale e, quindi, se rivenduto (ad esempio in un ‘folder’ o applicato su una cartolina e bollato) deve necessariamente essere gravato di Iva.
Si può certamente discutere – questa la conclusione di Angelo Di Stasi – sulla correttezza etica dell’iniziativa, tuttavia da un punto di vista formale, se i fogli di francobolli sono stati regolarmente acquistati da Poste a valore nominale e rivenduti nel folder gravati di Iva (circostanza, quest’ultima, verificabile esaminando una qualsiasi ricevuta fiscale integrata, emessa dal terminale degli uffici postali a fronte dell’acquisto di un qualsiasi folder, nella quale i francobolli non devono essere considerati esenti Iva), non parrebbero sussistere ostacoli normativi alla loro sovrastampa a fini privati, ancorché commerciali. Sta ai collezionisti capire che non trattasi di sovrastampa ‘ufficiale’ dell’Autorità emittente, bensì di una semplice, anche se discutibile, iniziativa di una azienda privata”.
Più chiaro di così. Le soprastampe “Milanofil 21.3.2019” o altre che potranno venire, possono essere discutibili, ma regolari. Tenendo ben presente però che si tratta di una iniziativa assolutamente privata, un simpatico souvenir, che di conseguenza non ha nulla di ufficiale che potrebbe essere tale solo se ad effettuarla fosse il ministero dello Sviluppo economico. Ma anche in questo caso se apposta sul francobollo, non sui bordi.

Danilo Bogoni

Illustrazioni. Il chiacchierato folder “Milanofil 21.3.2019” di Poste Italiane.

 

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