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Bambina uccisa a Cremona dal padre violento: le donne che denunciano vanno credute

Il figlicidio di Cremona mette in luce l’urgenza di attuare la Convenzione di Istanbul e l’intesa Stato-Regioni per affrontare nel modo corretto la violenza contro maschile contro le donne

 

(mi-lorenteggio.com) Milano, 24 giugno 2019 – La notizia di cronaca di sabato 22 giugno – che ci racconta ancora una volta di una bambina uccisa dal padre violento – sollecita molte domande e fa emergere lacune vistose nella filiera degli interventi a sostegno della donna e dei minori che hanno subito violenza.
La metodologia e la pratica dei centri antiviolenza non si può improvvisare: conoscere il fenomeno, intervenire ascoltando le donne e valutare i rischi specifici di ogni situazione sono passaggi imprescindibili per salvare la vita delle donne che subiscono violenza e dei loro figli.

“I centri antiviolenza denunciano da anni il pericolo di affidare interventi antiviolenza a strutture e persone non preparate ad affrontare e prevenire i rischi. Inoltre, il mancato ascolto delle donne – della cui parola troppo spesso si dubita – finisce per far venir meno la corretta valutazione delle situazioni di pericolo.

Come centro antiviolenza storico e iniziatore della metodologia dell’antiviolenza chiediamo:

1. Perché non è stata emessa una misura cautelare sia da parte della Procura Generale Ordinaria che della Procura Minorile di Brescia?
2. Chi ha permesso al padre di incontrare la bambina e portarla via dalla struttura in cui era?
3. Perché non sono state attivate le organizzazioni che sul territorio si occupano di violenza maschile contro le donne?”

“È inaccettabile che, dopo tanta formazione a tutti gli attori coinvolti nelle politiche antiviolenza, ci si trovi per l’ennesima volta di fronte a un violento cui viene data la possibilità di agire ancora senza controllo. Dopo la denuncia da parte della donna, non possiamo accettare che la violenza sia ancora perpetrata fino all’estremo gesto. Tutti i giorni assistiamo a situazioni di totale impunità che comportano la prosecuzione delle violenze cui la donna tenta di sottrarsi.” – dichiara l’Avvocata Manuela Ulivi, Presidente della Casa di Accoglienza delle Donne Maltrattate -CADMI.

 

Redazione

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