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Proverbio: Aprile fa il fiore e maggio si ha il colore

Rho. Convegno su Rosario Livatino, in collegamento il testimone Piero Nava che ribadisce

“Non potevo agire diversamente, non ho più né passato né vita ma mi guardo allo specchio e so di avere fatto la scelta giusta”

Il Sindaco Orlandi: “Livatino è stato ucciso a soli 37 anni ma ha lasciato un grande insegnamento.  Non conta la quantità delle cose che facciamo ma la capacità di incidere, avendo sempre a mente il lavorare per il bene comune nella ferialità”

(mi-lorenteggio.com) Rho, 22 marzo 2024. Il Convegno “La toga e il martirio” svoltosi la sera del 21 marzo 2024 a Villa Burba, nell’ambito della mostra dedicata al giudice Rosario Livatino, ha permesso ai presenti di ascoltare la voce (per quanto camuffata per non essere riconosciuta) di Piero Nava, il testimone che ha permesso di catturare mandanti e killer dell’omicidio avvenuto il 21 settembre 1990 ad Agrigento e ora è costretto a vivere sotto copertura.

Nella vita – ha detto Nava in collegamento telefonico – ci sono momenti in cui uno ha davanti una scelta sola, le conseguenze che ha generato non sono niente. Non avrei potuto agire diversamente. Testimoniando ho maturato rispetto per me stesso e dignità. Ho fatto la cosa giusta. Dovevo abbracciare la croce e così è stato. Quel giorno non sapevo che si trattasse di un giudice, oggi so che era un grande. Lui è morto tragicamente, la mia vita si è fermata. Io non sono nessuno. Sono un uomo senza passato, ma non ho rimpianti: quel giudice meritava giustizia. Vorrei rivolgermi ai giovani: quando vedono qualcosa che non va, lo devono riferire. Così si può fermare il bullismo, per esempio. Ci sono sempre conseguenze in una scelta, ma si deve parlare. I miei genitori mi hanno insegnato che quando una cosa toccava a me non potevo delegare: testimoniare è stato immediato, nessuno mi ha costretto”.

Il convegno, moderato da Maria Teresa Ferla, presidente dell’associazione (OdV) Vita e Destino che ha organizzato l’evento con il Comune di Rho, ha visto intervenire Carlo Tremolada, presidente di Libera Associazione Forense e avvocato penalista a Milano; Simone Luerti, magistrato di sorveglianza; il vescovo Luca Raimondi. Presenti il consigliere regionale Carlo Borghetti, il Vicesidnaco Maria Rita Vergani, l’assessore Paolo Bianchi, la presidente della Commissione legalità e antimafia Clelia La Palomenta, le forze dell’ordine del territorio.

L’assessore alla Legalità Nicola Violante ha introdotto l’evento, collocandolo nel mese della Legalità organizzato dall’Amministrazione comunale: “Il 21 marzo è Memoria, memoria di tutte le vittime innocenti delle mafie. Persone, rese vittime dalla violenza mafiosa, che rappresentano storie, scelte e impegno. Lo stesso impegno che è portato avanti dalle centinaia di familiari che camminano con Libera e che ne costituiscono il nucleo più profondo ed essenziale, nella continua ricerca di verità e giustizia. Nel giorno in cui a Roma, con don Luigi Ciotti, in migliaia hanno camminato al fianco degli oltre 500 familiari presenti per sostenere le loro istanze di giustizia e verità, noi ricordiamo il giudice Livatino e, grazie alla collaborazione delle scuole secondarie del territorio, con la mostra “La legalità negli occhi dei ragazzi e delle ragazze”, le tante vittime di mafia. Rendiamo onore a Livatino, che accettava ogni sfida in tempi in cui lottare contro la mafia significava trovarsi spesso da solo contro tutti, che affrontava con impegno imparzialità ed equidistanza la mole incredibile del lavoro cui era chiamato e che la Chiesa ha voluto beatificare. A Rho, come ripete il Sindaco Andrea Orlandi, la mafia c’è, ma anche grazie a iniziative come questa l’intera comunità Rhodense ribadisce la propria avversione verso questo fenomeno”.

Carlo Tremolada, uno dei sette curatori della mostra Sub Tutela Dei presentata nel 2022 al Meeting di Rimini e poi richiesta in tutta Italia, ha spiegato: “E’ riduttivo limitare il ricordo di Livatino al suo contrasto alla mafia. Aveva la capacità di coniugare il rigore nell’applicazione delle norme senza scendere a compromessi con uno sguardo ultimo di carità, anche davanti alla più grave delle situazioni. Ucciso perché dava fastidio alla Stidda, ha vissuto l’impegno in magistratura come vocazione, in affidamento totale a Dio. Sentiva di avere davanti delle persone, indipendentemente dalle colpe commesse. Era sempre animato dalla speranza di redenzione dei criminali. Lui salvava tutto. Servire la giustizia è una forma di carità. Livatino era consapevole del limite umano nel giudicare, guardava ai fatti, seguiva la verità e non i preconcetti”.

Il magistrato Simone Luerti si è soffermato su tre parole chiave: unità, laicità, scopo: “Livatino viveva la fede senza derive devozionali. In lui la fede potenziava la ragione. Aveva le armi spuntate, tutte le leggi antimafia sono arrivate dopo il 1990, eppure ha istituito il primo maxiprocesso alla mafia agrigentina. La fede era istanza vivificatrice della attività laica. Livatino voleva restituire la verità delle cose, con rispetto per i fatti e per gli imputati. Questo si oppone alla ideologia come uso ridotto della ragione. Distingueva tra l’essere operatori di diritto o operatori di giustizia. Sentiva di avere davanti uomini che erano in attesa di giustizia, sentiva che un uomo non è definito dal male che ha compiuto. Questo suo stile ha portato alla sofferta conversione degli autori dell’attentato, che si sono messi sotto la sua tutela”.

Il vescovo Luca Raimondi , spesso presente nelle carceri della zona, da Bollate a Busto Arsizio, ha citato il cardinale Carlo Maria Martini, quando diceva che “non esiste chi crede e chi non crede ma nella Bibbia si parla di schiavo e uomo libero, capace di attraversare anche il deserto per essere migliore”: “Quale idea di giustizia abbiamo? La legge è davvero uguale per tutti? Umanamente non esiste una giustizia perfetta. Allora, cosa diciamo ai giovani per spiegare che esistono delle regole? Cito il magistrato Giuseppe Anzani, quando diceva che “la regola è il canone di bellezza della libertà”. Perché la vita sia un’opera d’arte, occorrono regole. Ma non dobbiamo dire ai giovani “tu devi”, ragionando con un criterio etico, piuttosto “così è più bello e io che sono adulto ti faccio vedere che è così”. Per questo, come diceva Livatino, non basta essere credenti, occorre essere credibili”.

Monsignor Raimondi si è quindi soffermato sui diritti e la loro difesa:    “Per affermare un diritto non devo negare la realtà. Devo aggiungere, non sottrarre. Aiutiamo i ragazzi a fare in modo che i diritti siano scevri da ideologie e devozionalismi idioti. La Bibbia stessa parla di “occhio per occhio e dente per dente”, ma poi propone la figura di Giobbe, il giusto innocente che soffre. Non ragioniamo come il mondo social, dove l’organo con cui si pensa è il pollice. A chi dice “uccido perché hanno ucciso” Cristo risponde  invitando al perdono. Se il mondo avesse preso sul serio il Maestro di Nazareth, non saremmo in questa situazione. Lui educa al comandamento della carità, come norma di condotta. Possiamo scegliere, abbiamo la libertà di farlo. La regola è il campo di bellezza di questa libertà”.

A chiudere la serata il Sindaco Andrea Orlandi: “La vera sfida per noi è tradurre dal punto di vista amministrativo l’insegnamento di Livatino . Ringrazio Vita e Destino che ha animato la mostra e questo evento, con passione. Ringrazio le forze  dell’ordine, che spesso supportano i magistrati senza riscontri nelle cronache. Filo rosso degli interventi è l’amore verso la propria città, verso lo Stato. Anche Paolo Borsellino diceva che non gli piaceva Palermo ma per quello ha imparato ad amarla perché solo amando le cose si riesce a cambiarle. Anche a Livatino non piaceva la sua città, ma ha scelto di rimanere perché cambiasse in meglio. Ho i brividi a pensare che avesse un anno meno di me quando è stato ucciso: quanto ha fatto in breve tempo! Non conta la quantità delle cose che facciamo ma la capacità di incidere, avendo sempre a mente il lavorare per il bene comune nella ferialità. Poi ciascuno fa politica, costruisce la polis, se fa bene il suo mestiere fino in fondo e diventa un esempio. Vale in tutti i campi. Per fare questo ci vuole una comunità, ci vuole l’apporto di tutti e queste iniziative ci riconducono al sogno di una città più bella”.   

“Il Tempo della legalità” si concluderà lunedì 25 marzo con due appuntamenti. Alle ore 10.00 al Parco della legalità di via San Bernardo, verrà svelata  una targa in memoria delle scorte dei giudici Falcone e Borsellino alla presenza di Salvatore Borsellino. Gli studenti delle superiori presenteranno le loro riflessioni.

Alle 21.00, al Teatro Civico, lo spettacolo “ Cosa nostra spiegata ai bambini” interpretato da Ottavia Piccolo. Dal 5 al 7 aprile il ricco programma degli eventi di sensibilizzazione contro il gioco d’azzardo. La costruzione della legalità non si ferma.

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